Che cos'è una ICONA
Ho letto su un sito della Chiesa Ortodossa che «l’icona, si può paragonare a un catalizzatore che avvicina le persone a Dio, fortifica la loro fede e migliora il loro rapporto con il soprannaturale». Trovo sia una bellissima definizione forse perché corrisponde esattamente alla mia esperienza personale.
«Iconografia» (dal greco εἰκονογραϕία, eikonograía rappresentazione figurata - vocabolo composto da εἰκών, eikón "immagine" e -γραφία, -graphía "relativo alla scrittura").
Letteralmente quindi il termine «icona» dal greco «eikon», significa «immagine». Perciò quando parliamo di «iconografia», sempre traducendo letteralmente dal greco, intendiamo «scrittura dell’immagine».
Nel modo usuale di esprimersi degli iconografi, l’icona non viene solo dipinta, bensì scritta. In greco infatti, i termini “dipingere” e “scrivere” si rendono con la stessa parola: graphein. Nell’icona queste due forme espressive costituiscono un unicum. Ed in effetti, parlando di iconografia intendiamo proprio uno "scrivere in immagini", una narrazione che non utilizza la forma del linguaggio orale, ma quello visivo.
Le regole che un iconografo deve seguire sono riportate in appositi manuali, “hermeneia”, il più famoso dei quali di Dionisio di Furnà, risale all'inizio del XVIII sec.
Il fondamento dell’iconografia è il mistero dell’incarnazione.
«Poiché
il Verbo si è fatto carne assumendo una vera umanità, il Corpo di
Cristo era delimitato. Perciò l'aspetto umano di Cristo può essere
rappresentato» (San Giovanni Damasceno).
Il
soggetto di una icona è sempre Cristo. Tutti i segni della celebrazione
liturgica sono riferiti a Cristo: lo sono anche le sacre immagini della
Santa Madre di Dio e dei Santi, poiché significano Cristo che in loro è
glorificato.
TIPOLOGIE ICONOGRAFICHE
L'iconografo nello scrivere un icona si rifà sempre all’icona “acheropita”, cioè al prototipo, al modello, all’immagine rivelata.
Caratteristiche fondamentali di tutte le icone
1. Bordo rosso e culla
Segna il confine tra realtà visibile invisibile. In ogni icona viene ricavata a colpi di scalpello una specie di cornice, una "finestra" quasi, che crea un distacco tra noi uomini e la divinità rappresentata, la "culla".
2. La luce
La luce naturale non ha alcun valore, tutti i colori terreni sono soltanto luce e colori riflessi; nell’icona quindi non c’è ombra o chiaroscuro, non esistono ombre perché cose e figure non prendono luce dall’esterno ma contengono esse stesse la luce (realtà trasfigurata).
Il fondo d'oro riflette la luce non-creata (luce di Dio) e tutte le linee, le sottolineature d’oro vogliono proprio significare la luce sovrannaturale, la grazia che porta la luce di Cristo. Nell’iconografia ha trovato la sua espressione un insegnamento ortodosso – l’esicasmo: Dio non si può conoscere nella sua essenza. Però Dio si manifesta con la sua grazia attraverso un’energia divina, che Lui effonde nel mondo sotto forma di luce;
3. La prospettiva è rovesciata
Il punto di fuga è davanti all’immagine. E’ l’icona che guarda chi sta davanti a lei. Le linee si dirigono in senso inverso rispetto a chi guarda, cioè non verso un punto di fuga dietro il quadro, ma proprio verso un punto esterno, che avvicina le linee allo spettatore, dando l’impressione che i personaggi gli vadano incontro. I profili infatti non esistono, se non per indicare i peccatori, né la tridimensionalità, in quanto la profondità viene data solo spiritualmente, dall’intensità degli sguardi;
4. Le proporzioni delle figure
La posizione degli oggetti, la loro grandezza non sono naturali (pesi e volumi non esistono), ma relative al valore delle persone o delle cose, tutto è simbolico, non c’è realismo, volume, chiaroscuro e prospettiva perché i corpi celesti non seguono la logica rappresentativa naturale.
Il corpo, sempre slanciato, sottile, con testa e piedi minuscoli, è disegnato a tratti leggeri, e il più delle volte segue le linee delle volte del tempio, in quanto la pittura dipende dall’architettura.
Tutto comunque è dominato dal volto, perché è da qui che il pittore prende le mosse. Gli occhi sono molto grandi, fissi, a volte malinconici, sotto una fronte larga e alta; il naso è allungato, le labbra sono sottili, il mento è sfuggente, il collo è gonfio. Tutto per indicare ascesi, purezza, interiorità.
Altro aspetto frequente che si trova nelle icone è la simmetria, che indica un centro ideale al quale tutto converge.
5. Iscrizione
Principali tipologie iconografiche
Nelle icone si ha il ripetersi delle tipologie iconografiche tramandate, secondo quanto stabilito nel Concilio Niceno II, dove si stabilì che era legittimo venerare le immagini sacre, l’artista non può dar sfogo alla libera fantasia, ma deve attenersi a quanto prescritto dalla Chiesa, perché l’iconografia non è un’arte indirizzata al solo gusto estetico, ma un’arte al servizio della fede.
1. Le icone di Cristo
1. Le icone di Cristo
L’Incarnazione del Cristo è il fondamento di tutta l’iconografia cristiana. Fin dai primi secoli la Chiesa cerca di rispondere alla domanda centrale del cristianesimo: “Chi è in realtà Gesù di Nazaret ?” I primi Concili danno una risposta, immergendosi nella contemplazione del Mistero trinitario per giungere infine alla definizione della natura Divino-umana di Cristo. Le raffigurazioni dei primi secoli sembrano riecheggiare il travaglio teologico dell’epoca: dapprima è raffigurato come filosofo, poi come giovane imberbe e quindi come uomo maturo.
Il Concilio di Nicea riaffermò, contro le eresie ariane, la pienezza di umanità e divinità del Cristo: l’icona del Pantokrator esprime appunto la manifestazione del Dio trascendente che al tempo stesso ha fattezze umane. Cristo appare come il creatore di tutto ciò che esiste (da qui la denominazione di Pantokrator, cioè Onnipotente).
L’immagine del Cristo “non dipinto da mano umana” (AqeiropoÐhtoc = Acheropita) è considerata nella tradizione la raffigurazione più fedele del Salvatore, perché impressa da Cristo stesso su un panno (Mandlion = Mandylion) inviato ad Abgar, re di Edessa, gravemente malato. Per questo motivo a questa icona viene attribuito un potere taumaturgico.
Salvatore acheropita |
2. Le icone della Madre di Dio
Theotokos (Jeotìkoc), ossia “Genitrice di Dio”, è il titolo che il Concilio di Efeso nel 431 attribuisce alla Madonna e che la tradizione orientale ha conservato e prediletto attraverso i secoli. L’icona della Madre di Dio intende esprimere soprattutto il Mistero della Divina Maternità che la Vergine manifesta nello sguardo doloroso e lieto rivolto al Figlio. La Madre di Dio rappresenta ogni creatura e di ogni creatura è madre che sa accogliere ogni sentimento umano per trasfigurarlo nella preghiera al Figlio. Per tale motivo ella non è mai raffigurata se non insieme al Cristo o in una composizione a Lui collegata.
Vladimirskaja particolare |
La Madre di Dio della Tenerezza (EleÔsa = Eleusa) è uno dei tipi canonici più venerati. La tradizione vuole che nel gesto di intenso affetto fra la Vergine e il Bambino, Cristo sveli alla Madre il mistero della morte e risurrezione; il riverbero del dolore, dell’amore e della serena accettazione della volontà divina si coglie sul volto della Madre.
La Madre di Dio Odighitria (Odhgitria) sorregge con un braccio il Bambino, indicandolo con l’altra mano come la Via, la Verità e la Vita. Il Bambino ha le fattezze dell’adulto perché è il Dio Eterno, in una mano tiene il rotolo della legge, mentre con l’altra impartisce la benedizione.
La Madre di Dio del Segno (Platutèra = La Più Vasta dei Cieli) leva le mani al cielo in preghiera e porta l’effige del Salvatore Emmanuele sul petto. Si richiama alle parole del profeta Isaia: “Il Signore stesso vi darà un segno. Ecco, la Vergine concepirà e darà alla luce un figlio e gli porrà il nome di Emmanuele” (Is 7,14). L’icona è quindi manifestazione del Dio presente e incarnato nell’umanità di Maria.
3. Le icone dei Santi
La coscienza cristiana vede nei santi degli esempi della potenza di Dio che si manifesta nell’uomo, trasfigurandolo; il santo è dunque un segno della luce divina che trasforma l’uomo a somiglianza di Dio.
L’icona del santo non vuole rappresentare semplicemente la sua fisionomia o un momento particolare della sua vita, ma sintetizzare la sua esperienza di fede o le caratteristiche del suo cammino storico di santità.
La figura umana viene perciò trasformata e raffigurata in modo da esprimere attraverso ogni particolare il concetto di trasfigurazione: il volto diventa il centro della rappresentazione, in quanto luogo della presenza dello Spirito di Dio. Tutta l’attenzione è concentrata sullo sguardo che irradia verso lo spettatore.
Nell’arte bizantina, a differenza di quella ellenistica, il corpo umano perde il suo aspetto naturalistico; viene sottolineato così ancora una volta lo slancio dell’uomo verso l’eterno, verso il Mistero che si contempla “faccia a faccia”.
4. Le icone delle feste liturgiche
L’iconografia bizantina è strettamente legata al calendario liturgico; poiché l’icona è sempre una manifestazione del Dio incarnato nella storia, il Mistero non è mai colto in astratto, ma sempre nel suo dispiegarsi nel tempo e nello spazio.
Nasce così la Storia della Salvezza, in cui attraverso i personaggi e le vicende umane si rivela la Redenzione operata da Cristo.
Le icone delle Feste liturgiche rappresentano gli episodi biblici in tutti i particolari, spesso presentando contemporaneamente le diverse fasi dell’avvenimento.
Le icone delle Feste liturgiche rappresentano gli episodi biblici in tutti i particolari, spesso presentando contemporaneamente le diverse fasi dell’avvenimento.